Perché la qualità è la nuova ossessione della moda

Ho sempre amato fare shopping, ma ho sempre voluto anche essere una brava persona — e questi due impulsi raramente coincidono. I danni ambientali e umani dell’industria della moda sono noti, quindi per anni ho attenuato il senso di colpa comprando quasi tutto di seconda mano. Sembrava una scelta etica: se un capo non mi stava bene, potevo rivenderlo e continuare a sentirmi responsabile. Ma quando il second-hand è diventato un trend, i prezzi sono saliti, la qualità è scesa e i pezzi migliori sparivano subito. Il mio «percorso etico» è crollato — ma il desiderio di comprare è rimasto.

Come la “qualità” è diventata una nuova giustificazione morale

In quel momento è emersa una nuova mantra culturale: “alta qualità”. Gli influencer la ripetevano come una formula magica contro il senso di colpa, riempiendo il web di discussioni su cuciture, fibre e strutture. Ho accolto l’idea, spendendo di più su marchi storici e realtà indipendenti, convinta che un prezzo maggiore significasse responsabilità. Ma invece di comprare meno, ho semplicemente scoperto un nuovo mondo di tentazioni. La “qualità” è diventata un simbolo di buon gusto, ma non può sostenere tutto il significato che le attribuiamo. Senza attenzione, rischia di diventare un trend vuoto — proprio come “quiet luxury”.

Quando il lusso non garantisce più la qualità

Un tempo un prezzo alto significava materiali e lavorazione superiori. Oggi questa connessione è scomparsa: un capo può essere scadente in qualsiasi fascia di prezzo. L’aumento dei costi porta anche i brand di lusso a tagliare. Un sondaggio di Vogue Business mostra che quasi metà degli acquirenti ha ridotto le spese a causa del calo della qualità. Di fronte all’infinito ciclo dei micro-trend, molti cercano rifugio nella “durabilità” e nella “classicità”.

Come i social media mettono a nudo il sistema

TikTok e simili hanno reso visibili i difetti dei brand. Quando il modello Wisdom Kaye ha mostrato capi Miu Miu che si rompevano dopo pochi minuti, milioni di persone lo hanno visto. Anche dopo la sostituzione, i bottoni continuavano a saltare. Molti difetti sono meno evidenti, perciò i creator oggi smontano i capi, spiegano le cuciture e tagliano anche le borse di lusso per mostrare l’interno. Per chi ama la moda, l’abbigliamento è sempre stato un linguaggio — e la “qualità” è diventata un nuovo dialetto.

La slow fashion e le sue ironie sociali

Negli anni ’80 il movimento slow food voleva contrastare la produzione industriale, ma senza sostegno strutturale divenne più un segno di classe che una rivoluzione. Lo stesso accade nella moda. I principi di sostenibilità sono nobili, ma la realtà è complessa. Come valutare una sciarpa di mohair perfetta prodotta da un brand accusato di sfruttamento? O un maglione eccellente ma inaccessibile ai più? La qualità diventa spesso soggettiva — talvolta simbolica.

Come la qualità è diventata un permesso a comprare

Vogliamo comprare e i brand vogliono vendere. La “qualità” è ora uno strumento psicologico che allevia la colpa — insieme a “fair trade”, “small batch”, “women-owned”. Comprare all’infinito è difficile da giustificare, ma acquistare un “pezzo di qualità come investimento” sembra giusto e morale. Per questo i brand evidenziano tecniche, materiali e dettagli artigianali: oggi la qualità vende tanto quanto lo stile.

I limiti dell’etica quando entra in gioco il desiderio

La filosofia “compra meno, compra meglio” è sensata. Ma durante la stagione delle feste è facile perdere chiarezza. A differenza del cibo, i vestiti non sono necessari per vivere. Anche se desideriamo moltissimo un paio perfetto di pantaloni di lana grigia, non ne abbiamo bisogno per sopravvivere. Il desiderio spesso si traveste da necessità. E la qualità, per quanto importante, non ci libera dalla voglia di avere di più.

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